CORONAVIRUS

Non ce l’aspettavamo.

Quelli come me, nati in piena Guerra Fredda, erano abituati a immaginare una catastrofe globale sotto forma di fungo atomico. Finché non abbiamo salutato la caduta del muro di Berlino come un evento salvifico. Poi, l’11 settembre 2001, ecco il terrore riaffacciarsi di nuovo sulle nostre vite quotidiane, portato da fanatici assassini provenienti da un’altra cultura, da un altro mondo. Alieni.

Mai avremmo immaginato che la minaccia più seria al nostro stile di vita sarebbe stata una pandemia. Abbiamo ascoltato distrattamente, o non abbiamo ascoltato affatto, le parole profetiche di di Bill Gates nel 2014. Una pandemia planetaria? Come poteva essere possibile? Sì, conoscevamo il virus Ebola, ma quello c’era solo in certi paesi africani, non sarebbe mai arrivato qui da noi. Ci siamo ricordati di quello che ci avevano raccontato i nostri nonni a proposito della famigerata “Spagnola”, che aveva ucciso milioni di persone in tutto il mondo, più delle due guerre mondiali messe assieme. Ma era roba di un secolo fa, quando la medicina era ancora quella che era e le condizioni di vita della maggior parte delle persone erano ancora precarie. Agli albori del terzo millennio eravamo convinti che il livello evoluto della nostra civiltà, fatta eccezione per i paesi del Terzo Mondo, ci mettesse al riparo da una catastrofe di quelle proporzioni.

E invece, quasi inaspettatamente, è suonata una sirena d’allarme alla quale le donne e gli uomini della mia generazione e di quelle successive non erano abituati, perché non l’avevano mai conosciuta. Non ci è stato segnalato l’arrivo dei bombardieri nemici o il lancio di qualche missile intercontinentale. No. Ci hanno semplicemente detto di stare a casa. Non di correre in qualche rifugio antiatomico, portando con noi soltanto lo stretto necessario. No. A casa. Con la televisione, Sky, Netflix, Amazon Prime, Internet, i nostri libri, la nostra musica e cibo in quantità inalterata rispetto a prima.

Surreale.

Soprattutto perché la richiesta, stringente, insistente, contiene un messaggio inquietante. Il pericolo non è rappresentato da eserciti stranieri o da terroristi arabi. Il pericolo sono gli altri. Colleghi, amici, parenti, vicini di casa, persone sconosciute che eravamo abituati a incontrare per la strada, sui mezzi pubblici, sul luogo di lavoro, nei supermercati, al cinema, a teatro, nei parchi. Il pericolo sono quelli come noi. Il pericolo siamo noi stessi per gli altri. Tutti contro tutti. Organismi ospiti di un nemico invisibile e alieno che potrebbe aggredire chi ci viene vicino. E intanto seguiamo con crescente disagio il susseguirsi di numeri che sembrano bollettini di guerra. Appunto.

Non ce l’aspettavamo. Eravamo impreparati. E non sappiamo quando finirà. I termini di questa quarantena collettiva vengono spostati in avanti a mano a mano che diventano più vicini. Viviamo in un bozzolo di incertezza. Non siamo abituati a vivere nell’incertezza, anche se in concreto i sacrifici richiesti sono più che sopportabili. La nostra vita era impostata sulla programmazione compulsiva del futuro e oggi ci ritroviamo a poter gestire solo il presente, nell’attesa che la tempesta passi. I nostri orizzonti si sono ristretti. Conduciamo vite apparentemente normali, ma sospese. Siamo in letargo. Come quelle specie animali che abitualmente si rifugiano in un sonno prolungato, chiusi nelle loro tane, semplicemente per ripararsi dal freddo.

Forse questo periodo segnerà un cambiamento profondo nelle nostre abitudini. Anche dopo, quando sarà tornato il sereno

One thought on “CORONAVIRUS

  1. sono talmente d’accordo, che su un mio racconto di qualche mese fa lo avevo già scritto, anche se in termini diversi perché si trattava di un romanzo di fantascienza dal titolo provvisorio:
    Dalla terra a Marte

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