AL CUORE DELLO STATO!

 

 

 

 

 

La minaccia che fino a quel momento pareva uno slogan – “Colpire al cuore dello Stato” – divenne realtà. Le Brigate Rosse riuscirono nell’intento di rapire l’uomo politico più in vista, quello che si diceva sarebbe diventato il futuro Presidente della Repubblica.

Fu l’apice della cosiddetta “lotta armata”, l’attacco al cuore dello Stato, preparato durante anni di sequestri, di gambizzazioni, di omicidi. Gli “anni di piombo”. Il piombo dei proiettili che ogni giorno venivano sparati verso bersagli inermi, giornalisti, magistrati, sindacalisti, in nome di un’ideologia delirante; ma anche il piombo come metafora della cappa di tensione, di terrore, che avvelenava le giornate, le nostre, e che lo Stato sembrava incapace di affrontare.

Le Brigate Rosse, nonostante l’esiguità del seguito su cui potevano contare (non come la mafia!), riuscirono a mettere a segno, in quegli anni, una serie di colpi sensazionali. Colpivano e scomparivano, secondo i canoni di una guerra asimmetrica nella quale il loro nemico era uno stile di vita. Sembravano invincibili. Poi, da quella mattina di marzo, qualche cosa cambiò e alla fine la bandiera con la stella a cinque punte fu ammainata.

Nel frattempo, altri criminali uccidevano per altri motivi: le bombe sui treni, in piazza della Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna, l’attentato al Papa.

La sensazione, quella che mi coglieva la sera, prima di andare a dormire, era che l’Italia fosse il terreno di una guerra non dichiarata, che affondava le sua radici ancora nel secondo conflitto mondiale di trent’anni prima e che non era mai finito davvero. Si era trasformato nella cosiddetta “guerra fredda”, che da noi, in quel periodo, tanto fredda non era.

Nondimeno, noi continuavamo ad andare a scuola, i nostri genitori a lavorare. La vita di ogni giorno, nonostante tutto, continuava. E forse fu proprio questa la forza che consentì alla gente di superare quella fase tragica.