DALLAS

Prima di quel giorno non avevo mai sentito nominata Dallas. Avevo sei anni e da pochi mesi frequentavo la prima elementare. Stavo facendo i compiti in cucina, il che consisteva forse nel ricopiare la stessa lettera su un’intera pagina di quaderno. Mia madre chiacchierava al telefono con un’amica, nell’ingresso. A un tratto, sento che il suo tono si fa concitato, affranto. Poi lei riaggancia la cornetta e annuncia “Hanno sparato a Kennedy! A Dallas!”.

Mi ricordo di aver chiesto: “Chi è Kennedy?”

“E’ il presidente americano!” mi risponde e si precipita ad accendere la radio, perché all’epoca a casa nostra non c’era ancora la televisione.

Ecco, quello è stato il mio ingresso nel mondo reale, dove persino il presidente degli Stati Uniti poteva essere ucciso.

Cinque anni dopo, anche suo fratello Bob venne assassinato, ma non mi fece la stessa impressione. Nel frattempo la guerra nel Vietnam occupava sempre più spesso le prime pagine dei giornali, avevano ucciso pure Martin Luther King. Diciamo che avevo preso una certa familiarità con le tragedie.

E avevo scoperto che Gesù Bambino non esisteva.

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